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N. 00557/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00610/2012 REG.RIC.
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 610 del 2012, proposto da:
Associazione Italiana Fisioterapisti, AIFI -Associazione Italiana Fisioterapisti –
Regione Umbria, rappresentate e difese dagli avv. Lorenzo Lamberti e Giulio
Ramaccioni, con domicilio eletto presso Giulio Ramaccioni, in Perugia, via
Danzetta n. 7;
contro
Regione Umbria, rappresentata e difesa dagli avv. Paola Manuali e Anna Rita
Gobbo, con domicilio eletto presso Paola Manuali, in Perugia, corso Vannucci, 30;
nei confronti di
Istituto Enrico Fermi Perugia s.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Alberto
Franchi e Daniela Franchi, con domicilio eletto presso Carlo Alberto Franchi, in
Perugia, via XX Settembre, 76;
per l’annullamento
previa sospensiva
– della deliberazione della Giunta Regionale della Regione Umbria in data 3 luglio
2012 ed avente n. 814, avente ad oggetto: “Pianificazione, per il triennio
2012/2014, della formazione professionalizzante in ambito sanitario”, che
recepisce la proposta formulata dell’Assessore Tomassoni ed allegata quale parte
integrante alla medesima delibera;
– di ogni altro atto ad essa presupposto, consequenziale e/o comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Umbria e dell’ Istituto Enrico
Fermi Perugia s.r.l..;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 settembre 2013 il dott. Paolo Amovilli
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con deliberazione giuntale n. 814 del 3 luglio 2012, la Regione Umbria ha
pianificato la formazione professionalizzante in ambito sanitario per il triennio
2012/2014.
L’oggetto della pianificazione riguarda, oltre alla formazione dei medici e delle
professioni sanitarie, i corsi di formazione professionale di altri “profili sanitari
non oggetto di formazione universitaria”, tra cui quello per “massaggiatoremassofisioterapista”.
In tale contesto, è stata disposta l’attivazione, presso l’Istituto (privato) “Enrico
Fermi” di Perugia, del corso di “massaggiatore-massofisioterapista”, previa
ridefinizione del percorso formativo e trasformazione dello stesso da biennale a
triennale.
La decisione di continuare a svolgere una simile formazione viene avversata
dall’Associazione Italiana Fisioterapisti nonché dall’ AIFI – Regione Umbria, che
(cfr. d.m. 19 giugno 2006) rappresentano la categoria dei “fisioterapisti”. Va
precisato che la relativa professione, il cui profilo è stato definito dal d.m.
741/1994, è oggi definitivamente assunta tra le “professioni sanitarie” dell’area
della riabilitazione (in base alle leggi 42/1999 e 251/2000), e ad essa si accede
ormai con il diploma di laurea (fatta salva l’equipollenza dei titoli conseguiti nel
pregresso ordinamento).
L’ associazione ricorrente impugna la suddetta deliberazione G.R. 814/2012,
deducendo le seguenti censure così sintetizzabili:
I. Incompetenza, violazione degli artt. 3, 4 e 7 della L.R. 21 gennaio 1981 n. 69:
nell’ipotesi in cui la formazione del massaggiatore-massofisioterapista si collochi
nell’ambito della formazione professionale di competenza regionale, l’articolo 4
della L.R. 16/1981 attribuisce la competenza all’approvazione dei relativi
programmi triennali al Consiglio regionale, e non alla Giunta;
II. Violazione e falsa applicazione dell’ art. 6, comma 3, del D.lgs. 502/1992, delle
leggi 42/1999 e 251/2000, del D.M. Salute 29 marzo 2001, degli artt. 1 e 2 della
Legge 43/2006, dell’art. 4 quater del D.L. 205/2005, delle leggi nn.1099/1971 e
403/1971 e del D.M. 27 luglio 2000; violazione dei criteri di riparto delle
competenze tra lo Stato e le Regioni ai sensi dell’art. 117 c. 2 della Costituzione;
violazione dei principi generali in materia di formazione dei professionisti sanitari;
eccesso di potere per manifesta contraddittorietà, difetto di istruttoria,
travisamento dei fatti, incongruenza e insufficiente motivazione, sviamento;
violazione e falsa applicazione dell’art. 7 e 29 c. 2 bis della L. 241/1990 e dei
principi in materia di partecipazione procedimentale: la figura del massaggiatoremassofisioterapista
non troverebbe più collocazione nell’ambito del S.S.N., se non
in funzione di speciale e limitata agevolazione all’accesso al lavoro per i soggetti
ipovedenti; nell’organizzazione dei servizi sanitari, detta figura sopravviverebbe
soltanto ad esaurimento; conseguentemente, anche i relativi corsi dovrebbero
ritenersi ormai soppressi (se non nei limiti in cui prevedano l’accesso ai soli
soggetti non vedenti), così che risulta illegittima la programmata autorizzazione di
corsi di formazione per detta figura, con la pretesa altresì di attribuire al diploma
finale una valenza abilitativa che va ad invadere la sfera di attribuzioni di altra
figura professionale positivamente disciplinata (quella, appunto, del fisioterapista);
le figure professionali in materia sanitaria costituirebbero un numero chiuso,
esistendo al di fuori di esse soltanto le figure di “operatore di interesse sanitario”,
aventi carattere servente ed ausiliario rispetto a quelle pertinenti alle prime; la
qualificazione operata nella deliberazione impugnata della figura di
massofisioterapista quale professione “sanitaria non riordinata”, sarebbe del tutto
in contrasto con il quadro normativo di riferimento; risulterebbe violato lo stesso
riparto di competenze stabilito dall’art.117 Cost. non rientrando nei compiti della
Regione quello di dar vita a nuove figure professionali né mantenere in vita quelle
oramai soppresse; la deliberazione impugnata sarebbe parimenti illegittima nella
parte in cui introduce la possibilità di svolgere corsi per massaggiatori sportivi non
inserendo tra i titoli di ammissione quello di fisioterapista e vi prevede invece
l’accesso da parte di coloro che abbiano conseguito il diploma di
massofisioterapista in esito ai corsi illegittimamente autorizzati dalla Regione.
Le associazioni ricorrenti citano a proprio favore lo specifico precedente inter
partes dell’adito Tribunale (sent. 15 gennaio 2010, n.5 ) il quale avrebbe già
parzialmente ritenuto fondata la pretesa azionata con il ricorso in epigrafe.
Si sono costituite sia la Regione Umbria che l’Istituto Fermi, controinteressato,
eccependo preliminarmente:
– l’inammissibilità del gravame per mancato rispetto del termine dimidiato per il
deposito del ricorso secondo il rito speciale di cui agli artt. 119 e 120 cod. proc.
amm., dovendosi qualificare lo svolgimento di attività formative da parte di istituti
privati autorizzati dalla Regione come concessione di pubblico servizio;
– l’inammissibilità anche sotto il profilo del “ne bis in idem”, essendo i contenuti
delle deliberazioni gravate e le doglianze prospettate del tutto coincidenti con
quelle già affrontate e decise inter partes dall’adito T.A.R. con la sentenza 5/2010.
Quanto al merito chiedono il rigetto del gravame, per l’infondatezza di tutte le
doglianze ex adverso dedotte, evidenziando in particolare:
– la figura del massofisioterapista non sarebbe classificabile quale “operatore di
interesse sanitario”, bensì quale “professione sanitaria non riordinata” alla luce
della giurisprudenza intervenuta in subiecta materia, in quanto non essendo
intervenuti provvedimenti di riordino né di soppressione, la professione de
qua sarebbe rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con
conseguente conservazione dei relativi corsi di formazione.
– accanto alle professioni sanitarie di cui alla L. 251/2000 e D.M. Sanità 29 marzo
2001 per l’esercizio delle quali è necessario il rilascio di un titolo statale, ed agli
operatori di interesse sanitario, di individuazione e formazione regionale,
sopravviverebbe ancora oggi un tertium genus rappresentato dalle “professioni
sanitarie non riordinate”; si tratterebbe di attività comunque professionale e non
tecnica, di contenuto ristretto rispetto a quella più ampia svolta dai fisioterapisti:
– la figura formata dall’Istituto Fermi in contestazione sarebbe proprio quella
istituita e disciplinata dalla normativa statale, senza violazione delle competenze
statali;
– i titoli professionali rilasciati dalla Regione consentirebbero l’esercizio dell’attività
professionale anche fuori dei limiti territoriali regionali.
Le associazioni ricorrenti hanno controdedotto a tutte le sopra citate eccezioni in
rito, insistendo per l’accoglimento del gravame.
All’udienza pubblica del 25 settembre 2013 la difesa delle ricorrenti ha insistito per
la decisione, pur in pendenza del giudizio di appello nei confronti della sentenza n.
5/2010 resa da questo Tribunale inter partes e su questioni del tutto identiche pur se
concernente l’impugnazione di una deliberazione diversa; indi la causa è stata
trattenuta in decisione.
2. Con il ricorso all’odierno esame del Collegio, le associazioni ricorrenti
rappresentative della categoria dei fisioterapisti, contestano la legittimità
dell’autorizzazione all’Istituto E. Fermi della gestione di corsi di
massofisioterapista quale “professione sanitaria non riordinata”, nell’ambito della
pianificazione professionalizzante in ambito sanitario per il triennio 2012/2014;
prospettano in via principale l’intervenuta soppressione della figura del
massofisioterapista e, in via subordinata, l’erronea qualificazione giuridica operata
dalla Regione resistente quale “professione sanitaria non riordinata.”
3. Preliminarmente, debbono essere affrontate le eccezioni in rito sollevate
dall’odierno controinteressato.
L’art. 119 del vigente Codice del processo amministrativo contempla uno speciale
rito abbreviato con la prevista dimidiazione di tutti i termini processuali ordinari
(fatta eccezione per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale
e dei motivi aggiunti) nei giudizi, tra gli altri, aventi ad oggetto particolari materie,
tra cui “i provvedimenti concernenti le procedure di affidamento di pubblici lavori,
servizi e forniture” (c. primo lett. a)).
Posto che, come correttamente esposto dalla difesa dell’odierno controinteressato,
lo svolgimento di attività formative da parte di istituti privati autorizzati dalla
Regione va qualificato come concessione di pubblico servizio (ex multis T.A.R.
Campania Napoli sez III, 10 luglio 2012, n. 3310) e che nel citato comma primo
lett. a) rientrano pacificamente anche le concessioni di servizi (Consiglio di Stato
sez. V, 12 febbraio 2013, n. 811) presupposto per l’applicazione dello speciale rito
abbreviato è l’esperimento di una “procedura di affidamento”per la scelta del
concessionario, che solo giustifica le esigenze di particolare celerità rispetto ai
termini processuali del rito ordinario.
Ne consegue che, mancando nella fattispecie qualsivoglia procedura di
affidamento, vertendo l’oggetto dell’impugnativa su atto a contenuto misto
programmatorio ed autorizzatorio, non è predicabile l’applicazione dell’invocato
art. 119 cod. proc. amm., quale norma speciale, soggetta a stretta interpretazione e,
come tale, non suscettibile di interpretazione estensiva (ex plurimis T.A.R. Sicilia –
Catania sez. III, 26 maggio 2011, n. 1304; T.A.R. Friuli Venezia Giulia 22 maggio
2006, n.350).
3.1. L’eccezione è pertanto priva di pregio.
3. 2. Quanto all’eccezione di inammissibilità per violazione del “ne bis in idem”,
osserva il Collegio che nell’ambito del processo amministrativo – per
giurisprudenza consolidata – vanno mutuati i principi civilistici desumibili dagli artt.
2909 c.c. e 324 c.p.c., che postulano l’identità delle parti dei due giudizi e degli
elementi identificativi dell’azione proposta, ossia il “petitum” e la “causa petendi”,
occorrendo che in entrambi i giudizi sia chiesto l’annullamento degli stessi
provvedimenti – o, al più, di provvedimenti diversi, ma legati da un vincolo di
stretta conseguenzialità, siccome inerenti ad uno stesso rapporto – e sulla base di
identici motivi di impugnazione, né rileva la circostanza che la sentenza, che ha
definito il primo ricorso, sia o non passata in giudicato (T.A.R. Puglia Lecce sez.
II , 9 luglio 2013, n. 1593; T.A.R. Trentino-Alto Adige – Trento sez. I, 21 marzo
2012, n. 92; Consiglio di Stato sez. VI, 3 luglio 2013, n. 3553).
La sentenza n.5/2010 di questo Tribunale resa tra le stesse parti dell’odierno
giudizio, riguarda l’impugnazione della deliberazione giuntale n. 909 del 31 maggio
2006 con cui la Regione Umbria aveva pianificato la formazione
professionalizzante in ambito sanitario per il triennio 2005/2008; pur a fronte di
sostanziale identità degli elementi identificativi dell’azione già proposta, essendovi
perfetta coincidenza quanto a “petitum” e “causa petendi”, non vi è identità quanto
agli atti impugnati, riguardando l’oggetto del presente giudizio la deliberazione
della Giunta regionale 814/2012 in riferimento alla programmazione per il triennio
2012/2014; trattasi di provvedimenti formalmente diversi, non fosse altro per il
diverso ambito temporale di riferimento, e non legati da vincolo di stretta
consequenzialità, pur se attinenti alla identica materia.
Va detto che seguendo la tesi secondo cui l’ oggetto del processo amministrativo a
fronte di attività vincolata sarebbe oramai trasformato, quantomeno a seguito
dell’entrata in vigore del Codice approvato con D.lgs 2010 n. 104, da verifica
formale della legittimità del provvedimento impugnato (nei limiti dei vizi dedotti e
con salvezza del potere riesercitato) in giudizio di accertamento della fondatezza
del rapporto sostanziale sottostante azionato (così Consiglio di Stato Adunanza
Plenaria, 23 marzo 2011, n.3; id. sez. VI, 14 agosto 2013, n.4174) anche il
presupposto processuale del “ne bis in idem” dovrebbe essere rivisitato, con
conseguente inammissibilità di duplicazione di ricorsi vertenti sul medesimo
rapporto sostanziale già deciso, indipendentemente dalla mera non identità formale
degli atti gravati.
Trattasi comunque di questione ancora oggetto di ampio dibattito sia in dottrina
che in giurisprudenza, non essendo ancora ben definiti quali siano i confini del
giudizio amministrativo sul rapporto rispetto al giudizio civile, laddove il giudizio
sul rapporto implica tra l’altro la piena estensione del giudicato al “dedotto e
deducibile” diversamente dal giudicato amministrativo (T.A.R. Lombardia Milano
sez. III, 23 febbraio 2010, n. 429; T.A.R. Piemonte sez. I, 7 dicembre 2012,
n.1304).
3.3. Il ricorso può dunque rebus sic stantibus ritenersi ammissibile anche sotto questo
profilo, pur stante l’identità degli elementi identificativi dei due giudizi.
4. Venendo al merito, il ricorso è fondato, nei limiti di cui appresso.
Va riconosciuta in limine litis l’oggettiva incertezza del quadro normativo di
riferimento sulle questioni giuridiche prospettate nel presente giudizio, a cui
corrispondono orientamenti giurisprudenziali non univoci, situazione che avrebbe
potuto suggerire, ad avviso del Collegio, anche l’opportunità di una sospensione
(ex art. 337 c. 2 c.p.c.) del processo in attesa della decisione del Consiglio di Stato
sull’appello proposto dall’AIFI nei confronti della sentenza 5/2010 resa da questo
Tribunale inter partes, al fine di evitare contrasti di giudicato.
4.1. Occorre brevemente ricostruire il complesso e non sempre coordinato quadro
normativo, sulla scorta di quanto autorevolmente effettuato dal Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato sez. III, 17 giugno 2013, n.3325).
L’art. 1, comma 1, L. 19 maggio 1971 n. 403 “nuove norme sulla professione e sul
collocamento dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi” legittimava l’esercizio
della “professione sanitaria ausiliaria” di massaggiatore e massofisioterapista
soltanto per i massaggiatori e i massofisioterapisti diplomati da una scuola di
massaggio e massofisioterapia statale o autorizzata con decreto del Ministro per la
Sanità.
L’art. 6, comma 3, del D. lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, dopo aver posto
disposizioni per la formazione universitaria del personale esercente le professioni
sanitarie all’epoca chiamate “ausiliarie”, ha demandato al Ministro della Sanità
l’individuazione delle figure professionali da formare e dei relativi profili, in
conformità alla previsione dell’art. 1, comma 1, lett. o), della l. 23 ottobre 1992 n.
421, in base alla quale dovevano essere previste nuove modalità di rapporto tra
Servizio sanitario nazionale ed Università, tra l’altro, per la formazione in ambito
ospedaliero del personale sanitario e per le specializzazioni “post laurea”.
La disposizione di cui all’art. 6, comma 3 (rapporti tra Servizio sanitario nazionale
ed Università) del conseguente D. lgs. 30 dicembre 1992 n. 502 è stata poi
modificata dall’art. 7 D. lgs. 7 dicembre 1993 n. 517: in attuazione di tale
previsione, il Ministro della Sanità, con D.M. 14 settembre 1994 n. 741
“regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo
professionale del fisioterapista”, ha individuato il profilo professionale e il percorso
formativo del fisioterapista.
Dopo aver confermato che a regime solo il diploma universitario di fisioterapista
poteva abilitare all’esercizio della relativa professione, il citato D.M. 741/1994, al
fine di regolare il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, ha previsto che sia
un decreto interministeriale ad individuare i diplomi in precedenza conseguiti che
potessero considerarsi equipollenti al nuovo titolo universitario ai fini dell’esercizio
dell’attività professionale e dell’ammissione ai pubblici concorsi.
Prima che tale decreto fosse adottato, è intervenuta la L. 26 febbraio 1999 n. 42
“disposizioni in materia di professioni sanitarie” che, nel quadro della c.d. terza
riforma sanitaria, ha disciplinato innovativamente e nei confronti di tutte le
professioni sanitarie il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo, fondato ormai
sul previo conseguimento del diploma universitario.
In tal senso, in patente funzione transitoria, l’art. 4, comma 1, della stessa legge
stabilì, riguardo ai diplomi conseguiti in base alla normativa precedente quella di
attuazione dell’art. 6, comma 3, del D. lgs. n. 502 del 1992, vale a dire antecedenti
la seconda riforma sanitaria, l’equipollenza, per l’esercizio professionale, ai nuovi
diplomi universitari dei diplomi e degli attestati conseguiti in base alla normativa
precedente che avevano permesso l’iscrizione ai relativi albi professionali,
l’esercizio di attività professionale in regime di lavoro dipendente a autonomo o
che fossero previsti dalla normativa concorsuale per l’accesso al S.S.N. o ad altri
comparti del settore pubblico.
In una tale cornice, l’art. 4 comma 2, demandò ad apposito decreto del Ministero
della Sanità, di concerto con il Ministero dell’Università e della ricerca scientifica, la
definizione dei criteri per il riconoscimento come equivalenti ai diplomi universitari
di cui all’art. 6, comma 3, del D. lgs. n. 502 del 1992, ai fini dell’esercizio
professionale e dell’accesso alla formazione post-base, degli ulteriori titoli acquisiti
anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali.
In attuazione dell’art. 4 della l. 26 febbraio 1999 n. 42 è poi stato emanato il D.M.
27 luglio 2000 il quale – sulla base dell’esigenza di individuare i titoli equipollenti ai
diplomi universitari a norma del citato art. 4, comma 1, per dare certezza alle
situazioni ed uniformità di comportamento – ha stabilito, all’art. 1, che i diplomi e
gli attestati conseguiti in base alla normativa precedente a quella attuativa dell’art.
6, comma 3, del D. lgs. n. 502 del 1992 (indicati nella Sezione B della riportata
tabella) sono equipollenti, ai sensi dell’art. 4, comma 1, della l. n. 42 del 1999, al
diploma universitario di fisioterapista di cui al decreto 14 settembre 1994 n. 741 del
Ministro della Sanità, indicato nella Sezione A della stessa tabella, ai fini
dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione post-base.
A questo punto, ai sensi dell’art. 7 del D. lgs. 7 dicembre 1993 n. 517, modificativo
dell’art. 6, comma 3, del D. lgs. n. 502 del 1992, il quale disciplina la formazione del
personale della riabilitazione, il Ministro della Sanità avrebbe dovuto individuare le
figure professionali da formare e i relativi profili, con conseguente soppressione,
entro due anni dal 1 gennaio 1994, dei corsi di studio relativi alle figure
professionali così individuate e previsti dal precedente ordinamento, che non
fossero stati già riordinati ai sensi dell’art. 9 della legge 19 novembre 1990 n. 341.
4.2. Così sinteticamente e parzialmente ricostruita la disciplina normativa di
riferimento, vi è dunque da chiedersi, anzitutto, se la figura del massofisioterapista
possa dirsi ancora esistente o se debba invece ritenersi soppressa, come vorrebbero
le associazioni ricorrenti.
4.3. Ritiene il Collegio oramai assodato che non essendo intervenuto atto di
individuazione della figura del massofisioterapista, come una di quelle da
riordinare, né tantomeno atti di riordinamento del relativo corso di formazione o
di esplicita soppressione, la professione (e relativa abilitazione) de qua è in sostanza
rimasta configurata nei termini del vecchio ordinamento, con conseguente
conservazione dei relativi corsi di formazione (Consiglio di Stato sez. III, 17
giugno 2013, n.3325; T.A.R. Umbria 15 gennaio 2010, n. 5).
E’pertanto infondata l’odierna pretesa azionata nella parte in cui pretende di
ritenere oramai espunta dall’ordinamento la figura del massofisioterapista, in
quanto asseritamente confluita nella figura del fisioterapista, risultando tutte le
censure mosse al riguardo prive di pregio.
4.4. Acclarata la permanenza della figura professionale del massofisioterapista in
uno con la permanente validità dei corsi di formazione regionale, occorre poi
stabilire se a tal figura “non riordinata” possa essere riconosciuto lo statuto
giuridico di “professione sanitaria non riordinata” quale sostanziale tertium
genusdistinto tra le professioni sanitarie ed operatori di interesse sanitario.
Ritiene il Collegio che il mancato riordino della figura professionale, non autorizza
tuttavia le conclusioni alle quali pervengono la Regione e l’Istituto
controinteressato e non implica che al massofisioterapista possa essere
riconosciuto, come essi affermano, lo statuto giuridico di “professione sanitaria
non riordinata” (Consiglio di Stato sez. III, 17 giugno 2013, n.3325; T.A.R.
Campania Napoli sez. I, 21 maggio 2012, n. 2318).
Deve evidenziarsi che l’art. 4, comma 1, della L. 42/1999, nel disciplinare
l’equipollenza dei vecchi corsi al titolo universitario, si era limitata a prendere atto
di una situazione di base contrassegnata dall’evidente disparità dei vari percorsi
formativi, “selezionando all’interno di essi quelli ritenuti in grado di fornire
all’operatore una formazione di livello adeguato all’esercizio di una attività
professionale altrimenti riservata a soggetti che abbiano conseguito il diploma di
scuola media superiore ed abbiano poi positivamente frequentato un corso di
laurea triennale” (Consiglio di Stato sez. VI, 8 ottobre 2007, n. 5225). Alla luce di
tale prospettiva il mantenimento dei corsi regionali per la formazione dei
massofisioterapisti, dunque, deve essere comunque contestualizzato all’interno di
un quadro normativo che in generale prevede ormai, anche per l’esercizio delle
professioni sanitarie (non mediche), il conseguimento del diploma universitario a
livello statale (Consiglio di Stato sez. III, 17 giugno 2013, n.3325)
Il massofisioterapista, secondo quanto previsto dal D.M. del Ministro
dell’Istruzione del 7 settembre 1976 (che riguarda i programmi di studio per Istituti
professionali destinati ad accogliere alunni non vedenti, scuole alle quali, ai sensi
dell’articolo 30 del R.D. 1449/1941, possono iscriversi anche alunni vedenti, in
numero non superiore ad un terzo degli iscritti), non esercita la propria attività con
autonomia professionale, in quanto svolge terapie che gli competono “in ausilio
all’opera dei medici” e “secondo le istruzioni del sanitario”.
Inoltre, nel sistema della legge 43/2006 “Disposizioni in materia di professioni
sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della
prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”,
accanto alle professioni sanitarie infermieristiche, riabilitative, tecnico-sanitarie e
della prevenzione (articolo 1, comma 1), vengono presi in considerazione (articolo
1, comma 2) “i profili di operatori di interesse sanitario non riconducibili alle
professioni sanitarie come definite nel comma 1”.
Riguardo a questi ultimi “profili di operatori di interesse sanitario” detta
disposizione prevede che “resta ferma la competenza delle regioni
nell’individuazione e formazione”.
La disciplina attuale prevede una categoria, quella degli “operatori di interesse
sanitario”, nell’ambito della quale possono trovare posto attività di interesse
sanitario sprovviste delle caratteristiche della professione sanitaria in senso proprio,
che si connotano per la mancanza di autonomia professionale ed alle quali
corrisponde una formazione di livello inferiore.
Poiché le attività sanitarie (in senso lato) non mediche sono tutte comprese
nell’articolo 1 della legge 43/2006, quindi, occorre concludere che quella del
massofisioterapista – non espressamente soppressa come attività o figura
professionale – sopravvive e trova collocazione nell’ambito della predetta categoria
di “operatori”.
Il vigente assetto normativo, come già rilevato da questo Tribunale, contempla
quindi una categoria, quella degli “operatori di interesse sanitario”, nell’ambito
della quale possono trovare posto attività di interesse sanitario sprovviste delle
caratteristiche della professione sanitaria in senso proprio, che si connotano per la
mancanza di autonomia professionale e per una formazione di livello inferiore
( T.A.R. Umbria n. 5/2010).
In questa categoria può e deve dunque trovare collocazione sistematica,
giustificazione normativa, permanente operatività, nonché autonoma dignità
professionale, anche la figura, tuttora non riordinata, del massofisioterapista, con
funzioni accessorie e strumentali, tuttavia, rispetto alle mansioni proprie delle
professioni sanitarie riconosciute in via esclusiva dall’ordinamento statale, (così
testualmente Consiglio di Stato sez. III, 17 giugno 2013, n.3325).
Si deve pertanto concludere da tale complesso ed eterogeneo quadro normativo,
che la figura del massofisioterapista, il quale abbia conseguito un titolo di
formazione regionale, ben può rientrare nel novero degli “operatori di interesse
sanitario”, con funzioni ausiliarie, ma non può in alcun modo essere ricompreso
nell’ambito delle professioni sanitarie (Consiglio di Stato sez. III, 17 giugno 2013,
n.3325; T.A.R. Campania Napoli sez. I, 21 maggio 2012, n. 2318; T.A.R. Umbria
15 gennaio 2010, n.5) trattandosi comunque di una attività pur sempre di carattere
“servente ed ausiliaria” rispetto alle pertinenti professioni sanitarie (Corte
Costituzionale 20 luglio 2007, n. 300).
4.5. Così ricostruita la controversa figura del massofisioterapista, vi è allora da
chiedersi se la qualificazione operata dall’impugnata deliberazione GR 814/12
nell’ambito della programmazione della formazione professionalizzante in ambito
sanitario, possa ritenersi in linea con le suesposte considerazioni.
Ritiene il Collegio di non poter dare risposta affermativa, poiché la qualificazione
quale “professione sanitaria non riordinata”ivi contenuta, nega l’appartenenza della
figura nel novero degli “operatori di interesse sanitario” e pretende, in buona
sostanza, di collocarla invece nell’ambito di un ipotetico tertium genus di cui non vi è
alcuna traccia nell’ordinamento, pur con tutta la descritta difficoltà di dover
restituire un minimo di logica sistematica ad un quadro normativo tutt’altro che
perspicuo.
Non si tratta di una distinzione soltanto nominale, diversamente da quanto
sostenuto dall’Istituto Fermi, essendo ammessa soltanto da parte dei professionisti
in ambito sanitario l’attività professionale, rimanendo le attività del
massofisioterapista (per quanto ristrette rispetto all’attività del fisioterapista) prive
del carattere di autonomia e “serventi ed ausiliarie” del medico, pur operanti
nell’ambito sanitario e riabilitativo.
4.6. Ammettere, tra l’altro, la possibilità per le Regioni di disciplinare l’innovativa e
sconosciuta figura in ambito nazionale della “professione sanitaria non riordinata”
significherebbe travalicare i principi fondamentali (art. 117 c. 3 Cost.) tracciati dal
legislatore statale in subiecta materia tra cui quello stabilito dall’art. 1 c. 3 del D.lgs. 2
febbraio 2006 n. 30 secondo cui “la potestà legislativa regionale si esercita sulle
professioni individuate e definite dalla normativa statale”.
Sul punto, la Consulta ha affermato senza incertezza come tra i principi
fondamentali della materia a riparto concorrente “professioni” rientri
l’individuazione delle figure professionali con relativi profili ed ordinamenti
didattici (Corte Cost. sent. 12 dicembre 2003, n. 353; id. 22 luglio 2011 n. 230) non
spettando alle Regioni né creare nuove professioni né introdurre diversificazioni in
seno all’unica figura professionale disciplinata dalla legge dello Stato (id. 11
dicembre 2009, n. 328). La potestà legislativa regionale deve pertanto esercitarsi
sulle professioni individuate o definite dalla normativa statale.
Nel caso di specie la Regione, pur invero con tutte le esimenti connesse alla
descritta oscurità della normativa statale, ha di fatto preteso di sostituirsi ai ritardi e
alle incongruenze del legislatore statale, avocando a sé il compito di qualificazione
giuridica dell’attività di massofisioterapista, lesiva delle competenze statali sotto un
duplice profilo. Da un lato introducendo la figura delle “professioni sanitarie non
riordinate” del tutto ignota nella legislazione statale, dall’altro ledendo le stesse
prerogative professionali proprie della categoria dei fisioterapisti, professione
sanitaria come visto disciplinata con L. 502/1992 e D.M. 741/94.
La Regione, pertanto, nell’ambito della propria programmazione in subiecta materia,
può procedere ad autorizzare la gestione di corsi professionali in ambito sanitario
per il profilo di massofisioterapista esclusivamente quale “operatore di interesse
sanitario”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, risultano fondate e meritevoli di
accoglimento le assorbenti doglianze di cui al II motivo di gravame.
5. Deve infine respingersi la censura di incompetenza relativa.
Concentrandosi l’impugnativa proposta non già sugli aspetti di programmazione
della deliberazione G.R. 814/2012, di competenza del Consiglio regionale ai sensi
dell’art. 4 della L.R. 69/1981, bensì esclusivamente sul’autorizzazione relativa
all’attivazione del corso di massofisioterapista presso l’Istituto Fermi, è da ritenersi
esclusa la competenza dell’organo consiliare, così come per altro già efficacemente
statuito dall’adito T.A.R. con sentenza n. 5/2010 in merito alla corrispondente
censura promossa in quel giudizio.
6. Parimenti fondata, infine, è la domanda di annullamento della deliberazione
regionale impugnata nella parte in cui disciplina i requisiti di accesso ai corsi di
“massaggiatore sportivo”.
Tenendo conto di quanto prima esposto a proposito della distinzione tra la figura
sanitaria del fisioterapista e quella tecnica del massofisioterapista, risulta evidente
come anche a favore dei primi debba essere consentito l’accesso al suddetto corso,
come per altro anche in questo caso già statuito da questo Tribunale (sent.
5/2010).
7. Per i suesposti motivi il ricorso è fondato e va accolto, con l’effetto di annullare
la deliberazione G.R. 814/2012 in parte qua e nei limiti dell’interesse azionato dalle
associazioni ricorrenti.
Sussistono giustificati motivi per compensare le spese di lite tra le parti, attesa
l’obiettiva complessità delle questioni trattate e la esaminata oscurità della
disciplina normativa di riferimento.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il
ricorso e per l’effetto annulla parzialmente la deliberazione della Giunta Regionale
dell’Umbria 3 luglio 2012 n. 814, come da motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2013 con
l’intervento dei magistrati:
Cesare Lamberti, Presidente
Stefano Fantini, Consigliere
Paolo Amovilli, Primo Referendario, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/12/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)